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18 Agosto 2017La Cassazione definisce il termine oltre il quale il fisco non è più legittimato alla riscossione delle pretese creditorie
La sentenza in commento, pone in preminente rilievo riflessioni per una rilettura costituzionalmente orientata in termini garantista della normativa fiscale. Gli elementi logico-giuridico, in essa contenuti, inducono la pubblica amministrazione ad un’agire più efficiente ed attendo alle esigenze del Cittadino/consumatore.
Invero, l’autorevole orientamento giurisprudenziale, oggetto dell’odierna disamina, amplia l’ambito di operatività della prescrizione breve favorendo i margini difensivi del contribuente.
Emerge evidente, infatti, una palese estensione della facoltà per il cittadino di rivolgere al Giudice una richiesta tesa all’estinzione del credito statale per intervenuta prescrizione breve.
Tant’è che essa è suscettibile di applicazione non soltanto nei casi di notifica di cartella esattoriale (ex art. 36 bis e/o ter, D.P.R. n. 600/’73), bensì anche nelle fattispecie inerenti qualsiasi atto amministrativo di natura accertativa (avvisi di accertamento, avvisi di addebito etc.).
Invero, i giudici della Suprema Corte di Cassazione, con la recentissima sentenza de qua, a Sezioni Unite hanno definitivamente stabilito che le pretese della P.A. (Agenzia delle Entrate, Comuni, Regioni, Inps, Inail, etc.) si prescrivono nel termine “breve” di cinque anni, ad eccezione dei casi in cui la sussistenza del credito sia stata accertata con sentenza passata in giudicato o a mezzo di decreto ingiuntivo (Cass. SS.UU. n. 23397 depositata il 17 novembre 2016).
Orbene, la decisione della Suprema Corte verteva sull’interpretazione dell’art. 2953 c.c. con particolare riferimento all’operatività o meno della conversione del termine prescrizionale breve in quello ordinario decennale.
La fattispecie originava dalla notifica, nei confronti del cittadino, di “atti di riscossione mediante ruolo o comunque di riscossione coattiva” afferenti crediti statali sia di natura tributaria (Agenzia delle Entrate), che extratributaria (Inps, Inail, Comuni).
In particolare, la Corte era chiamata a valutare, in primis, se la prescrizione breve (5 anni) “sia applicabile anche nelle ipotesi in cui la definitività dell’accertamento del credito derivi da atti diversi rispetto ad una sentenza passata in giudicato”.
Invero, i giudici di consueto, si sono trovati a dover stabilire quale fosse il tempo massimo entro cui lo stato detiene il diritto di riscuotere le somme riportate in un atto impositivo non impugnato entro i termini di legge. Tuttavia, sul punto, finora, non si sono registrati univocità di vedute, all’uopo si profilano due diversi orientamenti.
In ossequio ad una prima corrente giurisprudenziale, il difetto di impugnazione dell’atto impositivo indurrebbe all’immodificabilità della pretesa creditoria in esso contenuta.
Da tale assunto ne consegue, che il diritto di credito dello Stato non è più assoggettabile alla prescrizione prevista per la specifica pretesa esattoriale, ma trova applicazione l’art. 2953 c.c. in virtù del quale gli originari termini di prescrizione breve si convertono in quelli lunghi decennali.
Diversamente, altro orientamento giurisprudenziale propendeva per l’inapplicabilità, ai casi di specie, della normativa ex art. 2953 c.c. (Cass. n. 6628/’06; Cass. n. 1650/’14; Cass. n. 3987/’16)
A sostegno di quanto asserito vi sarebbe la palese differenza tra l’atto impositivo della P.A. e quello giurisdizionale.
Invero, l’atto amministrativo, poiché espressione unilaterale di un potere istituzionale, a differenza del secondo (sentenza o decreto ingiuntivo), non assicura il diritto di difesa (previsto e tutelato ex art. 24 Cost.) di tutte le parti coinvolte.
Ne deriva, pertanto, l’idoneità del solo provvedimento giurisdizionale a generare la conversione del termine prescrizionale breve in quello ordinario decennale.
Al riguardo, al fine meglio comprendere la problematica de qua, giova evidenziare che anche la Consulta si è espressa circa l’operatività della prescrizione lunga o breve per la riscossione di crediti erariali ai danni del cittadino.
A tal uopo, i giudici costituzionali osservarono che, in virtù del principio del diritto di difesa (ex art. 24 Cost.), non è “consentito lasciare il contribuente assoggettato all’azione esecutiva del fisco per un tempo indeterminato e/o comunque corrispondente a quello ordinario di prescrizione”.
Pertanto, l’arco temporale di potenziale riscossione del credito erariale non può e non deve apparire “certamente eccessivo e irragionevole” (Corte Cost. Sent. n. 280/’05).
Orbene, il delineato e rilevante contrasto giurisprudenziale ha richiesto l’intervento chiarificatore dei giudici di Piazza Cavour, che a sezioni unificate sono stati investiti del delicato compito di valutare se la prescrizione breve (5 anni) “sia applicabile anche nelle ipotesi in cui la definitività dell’accertamento del credito derivi da atti diversi rispetto ad una sentenza passata in giudicato”.
Ebbene, la prescrizione quinquennale, “per la riscossione coattiva dei crediti”, è ammissibile “esclusivamente quando il titolo sulla base del quale viene intrapresa la riscossione non è più l’atto amministrativo, ma un provvedimento giurisdizionale divenuto definitivo” (Cass. n. 1/70; Cass. n. 5777/’89; Cass. n. 1965/’96; Cass. n. 1980/’96).
Infatti, la sentenza de qua ha chiarito che l’omessa impugnazione di un provvedimento accertativo o esattoriale non può concedere, all’atto in oggetto, di acquistare “efficacia di giudicato”, atteso che i citati atti sono “espressione del potere di auto-accertamento e di autotutela della P.A.” (Cass. n. 12263/07; Cass. n. 24449/’06; Cass. n. 8335/’03).
Pertanto, l’inutile decorso del termine perentorio per proporre opposizione, pur determinando la decadenza dell’impugnazione, non produce effetti di ordine processuale con la conseguente inapplicabilità dell’art. 2953 c.c. ai fini della prescrizione.
In altri termini, la prescrizione decennale è applicabile alla P.A. laddove esista “una sentenza passata in giudicato, mentre se la definitività della sanzione non deriva da un provvedimento giurisdizionale irrevocabile viene in rilievo il termine di prescrizione di cinque anni, previsto dall’art. 20 del D.Lgs. n. 472/’97, poiché il tempo prescrizionale entro il quale deve essere fatta valere l’obbligazione tributaria principale e quella accessoria relativa alle sanzioni non può che essere di tipo unitario” (sul punto cfr. Cass. SS.UU. N. 25790/’09).
Orbene, la Sentenza n. 23397/’16, in commento, palesemente conforme al contesto sistematico-normativo, asserisce con persuasione e dovizia di particolari argomentativi l’esclusione dell’operatività dell’art. 2953 c.c. con riferimento agli atti impositivi della P.A. divenuti irrevocabili perché non impugnati entro i termini previsti.
Invero, la decisione di legittimità, de qua, resa dalle Sezione Unite profila il divieto di applicazione analogica delle disposizioni circa la prescrizione, evidenziando che l’art. 2953 c.c. si rivolge esclusivamente alle “sentenze di condanna passate in giudicato”, quindi in alcun modo può essere invocato per i provvedimenti amministrativi.
Alla stregua di quanto innanzi, ne consegue che una intimazione di pagamento erariale non impugnata in tempo utile non è assolutamente idonea a giustificare il prolungamento del periodo di prescrizione previsto per la specifica tipologia di imposizione.
Infatti, emerge palese come la Corte di Cassazione, richiamando la sua precedente giurisprudenza, ha affermato che la mancata impugnazione di un avviso di accertamento della Pubblica Amministrazione o di un provvedimento esattoriale dell’Ente della Riscossione produce unicamente la definitività del credito statale (non più confutabile in futuro, eccetto le ipotesi di vizio di notifica dell’atto originario). Tale circostanza non determina “anche l’effetto della c.d. conversione del termine di prescrizione breve in quello ordinario decennale, ai sensi dell’art. 2953 c.c.”.
Pertanto, la trasformazione da prescrizione quinquennale in decennale si perfeziona soltanto con l’intervento del “titolo giudiziale divenuto definitivo” (sentenza o decreto ingiuntivo).
Dall’assunto, ne deriva che la cartella esattoriale, l’avviso di addebito dell’Inps e l’avviso di accertamento dell’Amministrazione finanziaria costituiscono – per propria natura incontrovertibile – semplici atti amministrativi di autoformazione e pertanto privi dell’attitudine ad acquistare efficacia di giudicato.
In conclusione, la sentenza, oggetto dell’odierna esposizione:
a) ha delineato una palese differenza tra i provvedimenti emessi dalla P.A. e le sentenze passate in giudicato attribuendo solo a queste ultime gli effetti di cui all’art. 2953 c.c.;
b) ha ampliato, altresì, l’area di applicazione della prescrizione breve, arginando prolissi periodi di incertezza per i contribuenti.
Infatti, il nuovo orientamento ha esteso i margini difensivi del cittadino, il quale potrà chiedere al giudice l’estinzione del credito statale per intervenuta prescrizione breve non soltanto nei casi di notifica di cartella esattiva (ex art. 36 bis e/o ter, D.P.R. n. 600/’73), bensì anche nelle fattispecie riguardanti qualsiasi atto amministrativo di natura accertativa (avvisi di accertamento, avvisi di addebito etc.).
Avv. Maria Campagnuolo